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fec’io per meritarne uno sì tristo?» Così dicendo, battè i piedi, come uomo all’ultima disperazione... Stava ancora immerso ne’ tristi suoi pensieri, quando vide uscire dalla casa e dirigersi a lui un servo che, presolo pel braccio, gli disse: — Venite, seguitemi; il signor Sindbad, mio padrone, vi vuol parlare.»

Il giorno, comparso allora, impedì a Scheherazade di continuare la storia; ma il giorno dopo la riprese così:


NOTTE LXX


— Sire, vostra maestà può agevolmente immaginare la sorpresa d’Hindbad a tal complimento. Dopo il discorso da lui tenuto, aveva motivo di temere che Sindbad mandasse a cercarlo per fargli qualche brutto scherzo; laonde volle scusarsene, adducendo di non poter abbandonare il carico in mezzo alla strada; ma il servo di Sindbad l’assicurò che n’avrebbe preso cura, e lo incalzò in guisa sull’ordine di cui era latore, che il facchino fu costretto a cedere alle sue istanze.

«Lo introdusse il servo in una gran sala, ove vide buon numero di persone sedute intorno ad una mensa coperta d’ogni specie di dilicati cibi. Al posto d’onore scorgevasi un uomo grave, di belle forme, e venerabile per lunga barba bianca; dietro a lui stava in piedi una turba d’ufficiali e schiavi solleciti a servirlo: era Sindbad. Il facchino, di cui crebbe il turbamento al vedere tanta gente raccolta ad un sì superbo banchetto, salutò tremante la brigata. Sindbad gli disse di accostarsi, e fattolo sedere alla propria destra, gli porse egli stesso i migliori cibi, e gli fe’ recare vino squisito, di cui abbondantemente era munita la credenza.

«Verso la fine del pranzo, Sindbad, presa la pa-