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mattina. Li accogliemmo ad una condizione ch’essi accettarono; ed avendoli fatti sedere alla nostra mensa, ci divertivano suonando a loro modo, quando udimmo bussare. Erano tre mercanti di Mussul di bella fisonomia, i quali ci chiesero la medesima grazia dei calenderi: noi l’accordammo alla stessa condizione. Ma non l’osservarono nè gli uni, nè gli altri; pure, benchè fossimo in grado com’anche in diritto di punirli, ci acontentammo d’esigere da essi il racconto della storia loro, limitando la nostra vendetta a congedarli, privandoli così dell’asilo invocato. —
«Il califfo Aaron-al-Raschid, assai contento d’aver saputo quanto desiderava, dimostrò pubblicamente la maraviglia cagionatagli da quelle avventure.
— Ma, sire,» disse Scheherazade a questo passo, «il giorno, che comincia ad apparire, non mi permette di raccontare a vostra maestà ciò che fece il califfo per metter fine all’incanto delle due cagne nere.» Schahriar, pensando che la sultana avrebbe terminata la notte seguente la storia delle cinque dame e dei tre calenderi, si alzò, e lasciolle la vita ancora fino all’indomani.
NOTTE LXIX
— In nome di Dio, sorella,» sclamò Dinarzade prima di giorno, «ti prego di raccontarmi in qual modo le due cagne nere ripigliarono la primitiva forma, e che cosa accadde de’ tre calenderi. — Sono a soddisfare il tuo desiderio,» rispose Scheherazade, e volgendosi quindi a Schahriar, proseguì in questi sensi:
«Sire, avendo il califfo soddisfatta la propria cu-