Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/243


225


NOTTE LXVI


Verso la fine della notte successiva, Dinarzade, impaziente di sapere l’esito della navigazione di Zobeide, s’affrettò a destare la sultana, la quale così parlò: — Zobeide ripigliò così la sua storia, sempre rivolgendosi al califfo:

«Sire,» disse, «il giovine principe, le mie sorelle ed io conversavamo tutti i giorni gradevolmente; ma, oimè! la nostra unione non fu di lunga durata; le mie sorelle s’ingelosirono della buona intelligenza che correva fra me e quel principe, e mi chiesero un giorno maliziosamente che cosa pensavamo fare di lui giunte che fossimo a Bagdad. Ben m’avvidi che non mi facevano questa interrogazione se non per discoprire i miei sentimenti. Laonde fingendo di volgere la cosa in celia, risposi loro che lo avrei sposato; poscia, dirigendomi al giovane, gli dissi: Principe, vi supplico di accettare. Quando saremo a Bagdad, è mia intenzione di offrirvi tutta me stessa come vostra umilissima schiava, per servirvi e riconoscervi assoluto padrone della mia volontà. — Signora,» rispose il principe, «non so se scherzate; ma per me vi dichiaro sul serio, davanti alle vostre sorelle, che da questo momento accetto di buon cuore tale offerta, non già per tenervi come schiava, ma come mia dama e signora, e non pretendo di aver alcun impero sulle vostre azioni.» Cangiarono le mie sorelle di colore a tali parole, e notai che dopo quel tempo esse non ebbero più gli stessi sentimenti per me.

«Eravamo allora nel golfo Persico, e ci avvicinavamo a Bassora, dove, col prospero vento che spira-