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vede che è giorno. Se continuassi a parlare, abuserei della vostra sofferenza.» Il sultano si alzò, risoluto di udire, nella successiva notte, la continuazione di storia sì maravigliosa.


NOTTE LXV


Il dì dopo, prima dell’alba, Dinarzade pregò la sorella di ripigliare la storia di Zobeide e raccontare che cosa accadde fra essa ed il giovine da lei trovato nel palazzo onde aveva tessuta sì bella descrizione. — Eccomi a compiacerti,» rispose la Sultana; «Zobeide proseguì di tal guisa la sua storia:

— Signora,» mi disse il giovane, «voi mi faceste abbastanza comprendere che avete la nozione del vero Dio colla preghiera che testè gli volgeste. Ora udirete un luminoso effetto della grandezza e della potenza sua. Vi dirò pertanto che questa città era la capitale di una possente monarchia, di cui il re mio padre portava il nome. Questo principe, tutta la sua corte, gli abitanti della città, e tutti gli altri suoi sudditi erano magi, adoratori del fuoco e di Nardun, antico re dei giganti ribelli a Dio.

«Benchè nato di genitori idolatri, ebbi la fortuna d’aver per aia nella mia infanzia una buona dama musulmana che sapeva a memoria il Corano, e lo spiegava ottimamente. — Principe,» diceva essa, «non c’è che un Dio vero. Guardatevi dal riconoscerne ed adorarne altri. «M’insegnò ella un dì a leggere in arabo, ed il libro che mi pose in mano per esercitarmi fu il Corano. Appena fui capace di ragione, essa mi spiegò tutti i punti di quel divino libro, e me ne inspirò tutto lo spirito all’insaputa di mio padre e d’ogni altro. Morì costei dopo avermi dato tutte le