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NOTTE LXIV
Dinarzade, allettata oltremodo dal principio della storia di Zobeide, non mancò di chiamare la sultana prima di giorno, pregandola a proseguire. — Ecco,» cominciò Scheherazade, «come la dama continuò a raccontare la sua storia al califfo:
«Sire,» diss’ella, dalla camera della regina impietrita passai in vari appartamenti e gabinetti magnifici, che mi condussero in una camera di straordinaria grandezza, ov’era un trono d’oro massiccio, alto di pochi gradini, ed adorno di grossi smeraldi incastonati, e sul trono un letto di ricchissima stoffa, sulla quale risplendeva un ricamo di perle. La cosa che però mi sorprese più di tutto, in una luce vivissima che irradiava dal letto. Curiosa di saperne l’origine, vi salii, ed avanzando la testa, vidi sopra uno sgabelletto un diamante grosso, come un uovo di struzzo, e sì perfetto, che non vi potei notare difetto alcuno: brillava poi in modo che non poteva sostenerne lo splendore, guardandolo alla luce del sole.
«Stava al capezzale del letto, dall’uno e dall’altro lato, una fiaccola accesa, di cui non seppi comprendere l’uso. Nondimeno, questa circostanza mi fe’ giudicare che vi fosse qualche persona viva in quel superbo palagio, non potendo credere che quelle faci si mantenessero accese da sè. Parecchie altre singolarità mi fermarono in questa camera, cui il solo diamante, ond’ho parlato, rendeva inestimabile.
«Siccome tutte le porte erano aperte o semplicemente socchiuse, percorsi altri appartamenti ancora, tutti belli quanto i già veduti, ed andai fino alle dispense ed alle guardarobe, che trovai piene di ric-