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venir qui se non per esternarvi il mio risentimento; ma rassicuratevi, e siate persuase che ho dimenticato il passato, e che anzi sono contentissimo della vostra condotta. Bramerei che tutte le dame di Bagdad avessero tanta saggezza pari alla vostra. Mi ricorderò sempre della moderazione usataci dopo l’inciviltà da noi commessa. Io era allora mercante di Mussul; ora sono Aaron-al-Raschid, quinto califfo della gloriosa casa di Abbas, e vicario del nostro gran profeta. Vi feci chiamare per sapere chi siete, e domandarvi per qual motivo una di voi, dopo aver maltrattato le cagne, ha pianto con esse. Nè sono men curioso di conoscere perchè un’altra abbia il seno tutto a cicatrici.

— «Benchè il califfo avesse pronunciato tali parole distintamente, e le tre dame le avessero intese, il visir Giafar non tralasciò, per etichetta, di ripeterle.

— Ma, sire,» disse Scheherazade, «è omai giorno. Se vostra maestà vuole che continui, bisogna che abbia la bontà di prolungarmi la vita fino a domani.» Il sultano acconsentì, stimando che Scheherazade racconterebbe la storia di Zobeide, cui egli era assai desideroso di udire.


NOTTE LXIII


— Mia cara sorella,» sclamò Dinarzade sul finire della notte, «narraci, te ne prego, la storia di Zobeide, essendo io certa che quella dama la raccontò al califfo.

— Appunto,» rispose Scheherazade. «Quando l’ebbe quel principe rassicurata colle parole che le volse, essa gli narrò di tal guisa le sue vicende: