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un sofà guernito d’altro tappeto edi cuscini di preziosa stoffa, vidi il giovane seduto con un ventaglio in mano. Distinsi tutte queste cose al chiarore di due fiaccole, come vidi ancora frutta e vasi di fiori che avea vicini. Si spaventò il giovane al vedermi, ma per rassicurarlo, gli dissi nell’entrare: — Chiunque siate, o signore, non temete di nulla, un re e figlio di re, qual io sono, non è capace di recarvi oltraggio; anzi è probabilmente la vostra buona sorte, che mi fece trovar qui per estrarvi da questa tomba, in cui parmi vi abbiano seppellito vivo per ragioni ch’io ignoro. Ma quello che non posso comprendere (poichè vi dirò che fui testimonio di tutto, da quando siete sbarcato in quest’isola), è che mi parve vi lasciaste trascinare in questo luogo senza resistenza...»

Scheherazade tacque a questo passo, e il sultano si alzò impazientissimo di sapere perchè quel giovane fosse stato abbandonato in quell’isola deserta: cosa ch’ei si propose d’udire la notte seguente.


NOTTE LV


Quando fu tempo, Dinarzade chiamò la sultana, e Scheherazade, senza farsi pregare, proseguì di tal guisa la storia del terzo calendero:

— «Il giovane,» continuò il terzo calendero, «rassicuratosi alle mie parole, mi pregò in aria ridente di sedergli vicino, e seduto che fui: — Principe,» mi disse, «sono per dirvi cosa che vi farà maraviglia per la sua singolarità. Mio padre è un gioielliere il quale, arricchitosi col lavoro e l’abilità sua nella propria professione, ora possiede gran numero di schiavi e di commessi, che viaggiano per mare su’ suoi vascelli, onde mantenere le corrispondenze ch’egli ha