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si vedeva che cielo ed acqua; ma che davanti a lui, dalla parte ov’era vôlta la prora, aveva notato un punto nero.

«Cangiò il pilota di colore a tal annunzio, e gettato sul ponte il turbante, e percuotendosi il volto: — Ahi! sire,» sclamò, «siamo perduti! Niuno di noi può sfuggire al pericolo che ne sovrasta, e con tutta la mia sperienza, non è in mio potere di guarentirvene.» Sì dicendo, posesi a piangere come uomo che crede inevitabile la propria perdita, e quella sua disperazione mise lo spavento in tutto il vascello. Gli chiesi qual ragione avesse di disperare in tal modo. — Aimè! sire,» rispose, «la tempesta ci ha talmente deviati dalla nostra strada, che domani a mezzodì ci troveremo vicini a quella macchia, la quale è la famosa Montagna Nera; questa montagna è una miniera di calamita, la quale fin d’ora attrae tutta la vostra flotta a motivo dei chiodi ed altre ferramenta ch’entrano nella struttura dei vascelli. Quando domani ne saremo a certa distanza, la forza magnetica sarà sì violenta, che tutti i chiodi, staccandosi, andranno a figgersi nella montagna, sicché scomposti i vostri vascelli dovranno affondare. Siccome la calamita ha la virtù di attrarre il ferro, e rinforzarsi mediante tal attrazione, quella montagna trovasi coperta dalla parte del mare di chiodi d’una infinita di vascelli ch’essa ha fatto perire; il che conserva, e nel medesimo tempo aumenta la sua virtù. Scoscesissimo,» proseguì il nocchiero, «è quel monte, ed ha in cima una cupola di bronzo, sostenuta da colonne del medesimo metallo; e sopra alla stessa vedesi un cavallo pure di bronzo, che porta un cavaliere, col petto coperto da una piastra di piombo, sulla quale sono incisi caratteri talismanici. La tradizione, o sire, porta che quella statua sia la cagione principale della perdita di tanti vascelli ed uomini sommersi in questi luoghi, e