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dalla bocca, finchè vennero a prendersi corpo a corpo. Allora aumentarono i due fuochi, e gettarono un fumo denso ed infocato, sì che credemmo, non senza ragione, che incendiassero tutto il palazzo; ma in breve ci strinse un ben più grave soggetto di timore, poichè il genio, sbarazzatosi della principessa, volò verso la galleria ove ci trovavamo, e ci soffiò contro vortici di fuoco. Era finita per noi, se la principessa, accorrendo in nostro aiuto, non lo avesse costretto colle sue grida ad allontanarsi e guardarsi da lei. Nondimeno, quantunqu’ella si affrettasse, non giunse ad impedire che il sultano ne avesse la barba arsa e guasto il volto; che il capo degli eunuchi non ne rimanesse soffocato all’istante, e che non m’entrasse una scintilla nell’occhio destro, facendomi guercio. Il sultano ed io ci aspettavamo di dover perire, ma tosto udimmo gridare: — Vittoria, vittoria!» e vedemmo comparire la principessa sotto la natural sua forma, ed il genio ridotto in un mucchio di cenere.

«La principessa si accostò, e per non perder tempo, chiese una tazza d’acqua, che le fu recata dal giovane schiavo, il quale non aveva sofferto alcun danno. La prese, e pronunciate alcune parole, mi versò l’acqua addosso, dicendo: — Se tu sei scimiotto per incanto, cangia di figura, e ripiglia quella d’uomo che prima avevi.» Appena ebbe finito, io tornai uomo qual era prima della metamorfosi, ma però con un’occhio di meno.

«Mi preparava a ringraziare la principessa, ma non me ne diè tempo, che volgendosi a suo padre, gli disse: — Sire, come vostra maestà vede, ho vinto il genio, ma cara mi costa la vittoria. Pochi momenti mi restano di vita, talchè non avrete la soddisfazione di fare il progettato matrimonio. Il fuoco, in questa terribile mischia, è in me penetrato, e sento che a poco a poco mi consuma. Ciò non sarebbe ac-