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Scheherazade, giunta a questo passo, si fermò, scorgendo il giorno.


NOTTE XLIX


All’indomani, Dinarzade, svegliandosi, disse alla Sultana: — Credo, sorella, che il sultano nostro signore non abbia minor curiosità di me d’udire la continuazione delle avventure dello scimiotto. — Sono a soddisfarvi entrambi,» rispose Scheherazade; «e per non tenervi in ansietà, vi dirò che il secondo calendero continuò in tai sensi la sua storia:

«Il sultano non badò menomamente alle altre scritture, e non guardò che la mia, la quale gli piacque in modo, che disse agli ufficiali: — Prendete il cavallo più bello delle mie scuderie, addobbatelo con magnificenza, e prendete pure una delle più sfarzose vesti di broccato, per rivestirne la persona autrice di questi sei saggi, e conducetemela.» A codest’ordine, gli uffiziali si posero a ridere, talchè il sultano, sdegnato del loro ardite, stava per punirli, quand’essi gli dissero: — Sire, supplichiamo vostra maestà a volerci perdonare: questi caratteri non sono di mano d’un uomo, ma vergati da uno scimiotto. — Che dite?» sclamò il sultano; «queste scritture non sono d’un uomo? — No, sire,» rispose un ufficiale; «possiamo assicurare la maestà vostra che sono d’uno scimiotto, il quale le ha vergate alla nostra presenza.» Troppo sorprendente trovò il sultano la cosa per non essere curioso di vedermi. — Fate quanto v’ho comandato,» lor disse, «e conducetemi subito uno scimiotto sì raro.

«Tornarono gli ufficiali al vascello, e comunicati i loro ordini al capitano, questi rispose che il sultano era il padrone. Mi vestirono dunque im-