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fatto solenne giuramento di non dare la carica di primo visir se non ad un uomo che sappia scrivere come colui scriveva. Molte persone hanno presentato i loro caratteri; ma finora niuno comparve in tutta l’estensione di quest’impero, che fosse giudicato degno di occupare il posto del visir.
«Coloro tra i mercanti che credettero di scrivere abbastanza bene da pretendere a quell’alta dignità, vergarono l’uno dopo l’altro ciò che vollero. Quando ebbero finito, mi avanzai, e presi anch’io il papiro. Tutti, e specialmente i mercadanti che avevano scritto, immaginandosi che volessi lacerarlo o gettarlo in mare, misero alte strida; ma presto si rassicurarono, allorchè videro che teneva il papiro in mano con cura, e che faceva segno di volervi scrivere. I loro timori cambiaronsi allora in maraviglia. Nondimeno, siccome non avevano mai veduto scimie che sapessero scrivere, e non potevano persuadersi ch’io fossi più dotta delle altre, volevano togliermelo di mano; ma il capitano prese anche qui le mie parti. — Lasciatelo fare,» ei disse, «lasciate che scriva. Se scarabocchierà la carta, vi prometto di punirlo; se invece scrive bene, come spero, non avendo mai veduto in vita mia uno scimiotto più destro ed ingegnoso, nè che comprenda meglio le cose, dichiaro di riconoscerlo per figlio. Ne aveva uno che non possedeva la millesima parte del suo spirito.
«Vedendo che nessuno più si opponeva al mio disegno, presi la penna, e non la deposi se non dopo aver fatto sei sorta di scritture usate dagli Arabi; ciascun saggio di carattere conteneva poi un distico od una quartina improvvisata in lode del sultano. Il mio scritto non solo ecclissava quello dei mercadanti, ma oso dire che non erasene veduto sin allora uno più bello in quel paese. Finito ch’ebbi, gli uffiziali presero il papiro, e lo recarono al sultano...»