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martellata.» Un altro: — Voglio trapassargli il corpo con una freccia.» Un altro: — Bisogna gettarlo in mare.» Nè avrebbero mancato di fare quanto dicevano, se mettendomi dalla parte del capitano, non me gli fossi prosternato a’ piedi, prendendolo per l’abito in supplichevole positura; ei fu sì commosso da quell’atto, e dalle lagrime che mi vide versare, che mi prese sotto la sua protezione, minacciando di far pentire chiunque volesse arrecarmi il minimo male; e mi colmò di carezze, mentre da parte mia, a deficienza di parole, gli dava co’ miei gesti i maggiori contrassegni di gratitudine che mi fu possibile. Il vento che susseguì alla calma, benchè non fosse forte, fu favorevole; nè cangiò per ben cinquanta giorni, facendoci felicemente approdare al porto di una bella città, popolosa e commerciante, capitale d’un possente impero, ove gettammo l’ancora.
«In breve fu il nostro vascello circondato da una infinità di battelli pieni di gente, che venivano a felicitare gli amici del loro arrivo o ad informarsi di quelli lasciati nel paese d’onde venivano, o semplicemente per la curiosità di vedere un vascello che arrivava sì di lontano. Giunsero, fra gli altri, alcuni ufficiali, i quali chiesero di parlare, da parte del sultano, ai mercatanti della nostra nave; e questi presentatisi tosto, un ufficiale, presa la parola, disse loro: — Il sultano, nostro signore, ci ha incaricati di attestarvi il suo giubilo pel vostro felice arrivo, e pregarvi di voler scrivere ciascuno su questo papiro qualche riga di proprio pugno. Per manifestarvi qual sia il suo disegno, dovete sapere ch’egli aveva un primo visir, il quale, oltre una gran capacità nel maneggio degli affari, scriveva all’ultima perfezione. Questo ministro è morto da pochi giorni; il sultano n’è afflittissimo, e siccome non guardava mai senza ammirazione i caratteri della sua mano, ha