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rare che ti rimandi sano e salvo. Bisogna che ti faccia sentire il potere de’ miei incanti.» Sì dicendo, mi afferrò con violenza, e portandomi attraverso la volta del palazzo sotterraneo, la quale spalancossi per lasciarlo passare, mi sollevò tant’alto, che la terra non mi parve più che una nuvoletta bianca. Da quell’altezza si slanciò verso terra come il fulmine, e sostò sulla vetta d’un monte. Ivi raccolse un pugno di polve, pronunziò o piuttosto vi mormorò sopra certe parole, delle quali nulla compresi, e gettatomela addosso: — Lascia,» disse, «la figura d’uomo, e prendi quella di scimia.» E sparve, lasciandomi solo, convertito in scimiotto, oppresso dal dolore, in paese sconosciuto, non sapendo se fossi vicino o lontano dagli stati del re mio padre.

«Sceso dal monte, entrai in una pianura, della quale non venni a capo se non dopo un mese, in cui giunsi sulla spiaggia del mare, che essendo allora in bonaccia, lasciommi scorgere un vascello a mezza lega da terra. Per non perdere sì bella occasione, ruppi un grosso ramo d’albero, lo gettai in mare, e postomivi cavalcioni, mi servii di due bastoni come remi per guidarmi.

«Vogando in tal modo, mi accostai al vascello, e quando fui abbastanza vicino per esserne riconosciuto, presentai uno spettacolo veramente straordinario ai marinai e passeggeri che, raccolti sul ponte, mi guardavano tutti con somma meraviglia. Intanto raggiunsi la nave, ed aggrappatomi ad una corda, mi arrampicai sulla coperta, ma non potendo parlare, mi trovai in terribile imbarazzo. In fatti il pericolo che allora corsi non fu minore di quando era stato in potere del genio.

«I mercatanti superstiziosi credettero che avrei portata disgrazia alla navigazione se mi ricevevano, talchè uno disse: — L’accopperò con una