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l’ottenuta corona, e ardentemente bramava sapere se l’invidioso ne sarebbe morto d’affanno. Si alzò pertanto nella risoluzione di udirlo la notte seguente.
NOTTE XLVIII
— Or ecco in qual modo il secondo calendero,» continuò Scheherazade, «proseguì la storia dell’invidioso e dell’invidiato:
«Essendo dunque,» diss’egli, «salito il buon dervis sul trono dello suocero, un giorno che passeggiava in mezzo a’ cortigiani, scorse l’invidioso fra la turba di gente che accorreva a vederlo. Fece allora avvicinare uno dei visiri che l’accompagnavano, e gli disse sottovoce: — Andate, e conducetemi quell’uomo; ma guardatevi dall’ispaventarlo.» Obbedì il visir, e quando l’invidioso fu alla presenza del sultano, questi gli disse: — Amico, mi è gratissimo il rivederti.» E subito volgendosi ad un uffiziale soggiunse: «Gli si diano immediatamente mille monete d’oro del mio tesoro, e gli si consegnino inoltre venti balle delle più preziose merci de’ miei magazzini, con una guardia sufficiente per iscortarlo a casa sua.» Incaricato l’ufficiale di tal commissione, salutò l’invidioso, e continuò il suo cammino.
«Quand’ebbi finito di narrare codesta storia al genio, assassino della principessa dell’isola d’Ebano, gliene feci l’applicazione. — O genio!» dissi, «voi vedete che quel sultano benefico non solo volle scordarsi che l’invidioso avevagli attentato alla vita, ma lo trattò eziandio e lo rimandò con tutta la bontà da me riferita.» Infine adoperai ogni mia eloquenza per pregarlo ad imitare sì bell’esempio e perdonarmi; ma tutto fu inutile. — Ciò che posso fare per te,» mi disse, «è di non toglierti la vita; ma non ispe-