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mal non accada al buon dervis; spero di sentire domani che il cielo non l’avrà abbandonato in sì perigliosa emergenza.»
NOTTE XLVII
Dinarzade, svegliatasi, scongiurò la sorella di dirle se il buon dervis uscisse salvo dalla cisterna. — Sì,» rispose Scheherazade. «Ed il secondo calendero, continuando la sua storia, disse: — La vecchia cisterna era abitata da fate e da geni, che trovaronsi colà in buon punto per salvare il capo del dervis mentre cadeva, ed invisibili lo tennero sollevato fino al fondo, talchè non si fece alcun male. Egli ben comprese esserci qualche cosa di straordinario in una caduta, in cui doveva perdere la vita; ma non vedeva, nè udiva nulla. Nondimeno poco dopo udì una voce che diceva: — Sapete chi è quel valentuomo a cui abbiamo testè salvata la vita?» Ed altre voci avendo risposto negativamente, la prima riprese: — Ve lo dirò io. Cotest’uomo, per la maggior carità del mondo, ha abbandonato la città in cui abitava, e venne a stabilirsi in questo luogo, nella speranza di guarire un suo vicino dall’invidia che costui gli portava; e si acquistò stima sì universale, che l’invidioso, non potendolo soffrire, giunse costì nel disegno di farlo perire, ed avrebbelo eseguito senza il soccorso da noi prestato a questo brav’uomo, la cui riputazione è tanto grande, che il sultano, il quale soggiorna nella città vicina, verrà domani a visitarlo per raccomandare alle sue preghiere la principessa di lui figlia.
«Allora un’altra voce chiese qual bisogno avesse la principessa delle preghiere del dervis, cui la prima rispose: — Non sapete dunque ch’essa è invasa dal genio Maimun, figlio di Dimdim, che se n’è invaghito? Ma io ben so in qual modo questo buon capo