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Scheherazade qui vide il giorno, e cessò di parlare, il sultano trovava troppo bella la storia del secondo calendero per non volerne conoscere il resto, e si alzò coll’intenzione di udirne il seguito al domani.


NOTTE XLV


Il giorno seguente, Scheherazade, per appagare la sorella, curiosissima di sapere come il genio trattasse il principe, si mise a proseguire di tal modo la storia del secondo calendero:

— «Signora,» egli disse a Zobeide, «avendomi il genio fatta questa interrogazione, non mi diè tempo di rispondergli, nè l’avrei potuto fare, tanto la sua spaventevole presenza avevami sbaordito. Presomi a mezzo il corpo, mi trascinò fuor della stanza, ed alzatosi in aria, mi sollevò fino al cielo con tal forza e celerità, che m’avvidi più presto d’essere salito a tanta altezza, che della strada fattami da lui percorrere in un batter di ciglio. Scagliossi in pari guisa verso la terra, ed apertala col battere del piede, vi si sprofondò, e tosto mi trovai nel palazzo incantato davanti alla bella principessa dell’isola d’Ebano. Ma aimè! quale spettacolo! vidi una cosa che mi trafisse il cuore: la principessa, ignuda e bagnata di sangue, stava distesa al suolo, più morta che viva, e colle guance innondate di lagrime. — Perfida,» le disse il genio, presentandomi a lei, «non è questo il tuo amante?» Vols’ella su me un languido sguardo, e rispose tristamente: — Non lo conosco; non l’ho mai veduto prima d’ora. — Come!» ripigliò il genio; «è desso cagione che tu sii nello stato in cui giustamente ti trovi, ed osi dire che non lo conosci? — Se non lo conosco,» tornò a rispondere la principessa, «volete ch’io dica una menzogna, che sia cagione della sua rovina? — Eb-