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la sottopone alla crudeltà d’un demonio spietato.»

Abbassai la botola, e ricopertala di terra, tornai alla città con un carico di legna che allestii senza sapere cosa mi facessi, tanto era turbato ed afflitto.

«Il sarto, mio ospite, dimostrò gran gioia al rivedermi. — La vostra assenza,» dissemi, «m’ha cagionato molta inquietudine, a motivo del segreto della vostra nascita che mi confidaste. Non sapeva più cosa pensare, e temeva che qualcuno non v’avesse riconosciuto. Lodato sia Iddio del vostro ritorno!» Lo ringraziai dello zelo e dell’affetto suo; ma non gli palesai la mia avventura, nè la ragione per cui tornava senza scure e senza pappucce. Mi ritirai quindi nella mia stanza, ove mi rimproverai mille volte la commessa imprudenza. — Nulla,» andava dicendo, «avrebbe pareggiato la felicità della principessa e la mia, se avessi saputo contenermi, e non infranto il talismano.» Mentr’io m’abbandonava a tali affliggenti pensieri, entrò il sarto, e mi disse: — È giunto un vecchio, ch’io non conosco, colla vostra scure e le vostre pappucce, da lui trovate, a quanto dice, sulla strada; egli ha saputo dai vostri compagni, che vengono con voi al bosco, che abitavate qui; venite, egli vuol parlarvi, e conseguarvele in persona.» A tali parole cangiai di colore, e fui preso da un tremito generale; stava il sarto per chiederne la cagione, quando d’improvviso il pavimento della stanza si spalancò, ed il vecchio, il quale non aveva avuto la pazienza di aspettare, ci comparve davanti colla scure e le pappucce. Era il genio rapitore della bella principessa dell’isola d’Ebano, il quale erasi così trasformato, dopo averla trattata con estrema barbarie. — Io sono il genio.» ci diss’egli, «figlio della figlia d’Ebli, principe dei geni. Non è questa la tua scure?» soggiunse volgendosi a me; «non sono questo le tue pappucce?»