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Qui avvedendosi Scheherazade ch’era giorno, si fermò. Ah, sorella!» sclamò Dinarzade; «quanto mi duole che tu non possa continuare sì bella storia! — Se non fossi stata oggi tanto pigra,» rispose la sultana, «ne avrei detto di più. — Or bene,» ripigliò Dinarzade, «sarò domani più diligente, e spero che indennizzerai la curiosità del sultano di ciò che gli fe’ perdere la mia negligenza.» Schahriar si alzò senza dir nulla, ed andò alle sue ordinarie occupazioni.


NOTTE XLII


Non mancò Dinarzade di chiamare la sultana più presto del giorno precedente, e Scheherazade continuò il racconto del secondo calendero:

— «Eccomi dunque, o signora,» disse il calendero, «solo, ferito, privo d’ogni soccorso, in un paese sconosciuto. Non osai riprendere la strada maestra per tema di ricadere nelle mani dei ladroni, e fasciata alla meglio la mia ferita, che non era pericolosa, camminai il resto del giorno, e giunsi appiè d’un monte dove, a metà del pendio, vidi una grotta. Vi entrai, e passai colà tranquillamente la notte, dopo aver mangiato alcune frutta da me raccolte strada facendo. Continuai a camminare i giorni successivi senza trovar luogo ove fermarmi; ma dopo un mese, scopersi una popolosa città vantaggiosamente situata, ed irrigata da più fiumi che trovavansi nei dintorni, per cui vi regnava perpetua primavera. I piacevoli oggetti che mi si presentarono allora alla vista, m’empirono di gioia, e sospesero per alcuni momenti la tristezza mortale in cui era immerso vedendomi ridotto in sì misero stato. Abbronzati aveva il volto, le mani