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ro non era ancorfinita, e sembrava assai strana al sultano, si alzò egli nella risoluzione d’udirne il resto la notte seguente.
NOTTE XXXIX
Vedendo Scheherazade la grande impazienza della sorella di sapere il fine della storia del primo calendero, le disse: — Sappiate dunque che il primo calendero, continuando a raccontare la sua storia a Zobeide, ripigliò in tal modo:
«Non posso esprimervi, o signora, qual fu il mio stupore, quando vidi il re mio zio maltrattare così il cadavere del principe suo figlio. — Sire,» gli dissi, «per quanto grande sia il dolore che mi cagiona sì funesto oggetto, non posso a meno di sospenderne il corso per chiedere a vostra maestà qual delitto possa aver commesso il principe mio cugino onde maltrattiate in siffatta guisa la misera sua salma. — Nipote,» risposemi il re, «vi dirò che mio figlio, indegno di portar questo nome, amò fino dai primi anni sua sorella, e ne fu riamato. Io non mi opposi al loro amore nascente, non prevedendo il male che poteva derivarne. E chi avrebbe potuto prevederlo? La loro tenerezza crebbe coll’età, e giunse al punto che finalmente ne temetti le conseguenze; ma non vi misi allora il rimedio ch’era in mio potere; m’accontentai di prendere in disparte mio figlio, ed ammonirlo severamente, rappresentandogli l’orrore della passione cui lasciavasi trascinare, e l’eterna infamia di cui stava per coprire la famiglia, se persisteva in sì rei sentimenti; esposi le stesse cose anche a mia figlia, e la rinchiusi in modo che non potè più comunicare col fratello. Ma la sciagurata aveva trangu-