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del nuovo sovrano.» A tai detti, le guardie s’impossessarono di me, e mi trascinarono al cospetto del tiranno. Giudicate, o signora, della mia sorpresa e del mio dolore.
«Il ribelle visir aveva concepito da molto tempo un odio fortissimo contro di me, ed eccone il motivo. Nella mia più tenera gioventù mi dilettava a tirare di balestra; un giorno, che stava esercitandomi con quest’arme sulla terrazza del palazzo reale, mi si presentò un uccello: lo mirai, ma sbagliato il colpo, la freccia andò per caso a ferire in un occhio il gran visir, che prendeva il fresco sulla terrazza della sua casa. Quando seppi tale disgrazia, mandai a fare mille scuse al visir, e gliene feci io stesso; ma egli non lasciò di serbarne un vivo risentimento, di cui mi dava segni ogni qual volta se gliene presentava l’occasione, e lo manifestò in barbara guisa quando m’ebbe in suo potere; chè appena mi vide, corsemi incontro come un furioso, e cacciandomi le dita nell’occhio destro, me lo cavò egli stesso: ecco perchè divenni guercio.
«L’usurpatore qui non limitò la sua crudeltà; mi fece rinchiudere in una cassa, ed ordinò al carnefice di portarmi così assai lontano dal palazzo, di troncarmi la testa ed abbandonarmi in preda agli uccelli di rapina. Il manigoldo, accompagnato da un altro, montò a cavallo, carico della cassa, e fermossi nella campagna per eseguire il barbaro comando: ma tante furono le preghiere e le mie lagrime, che finii col moverlo a pietà. — Andate,» mi disse, «uscite di volo dal regno, e guardatevi bene dal tornarvi, poichè non isfuggireste alla vostra perdita, o sareste cagione della mia.» Lo ringraziai, del favore, e mi confortai della perdita dell’occhio pensando, che aveva evitato una disgrazia maggiore.
«Nello stato in cui mi trovava non poteva far molta