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felicemente al raggio della luna, senza smarrirmi. Appena giunti alla tomba, vedemmo comparire il principe che ci avea seguiti, carico d’una piccola brocca piena d’acqua, d’una zappa e d’un sacchetto di gesso. La zappa gli servì per demolire l’avello vuoto che trovavasi in mezzo alla tomba; ne tolse ad una ad una le pietre, e le dispose in un canto; quando le ebbe tutte levate, scavò la terra, e vidi una botola situata sotto l’avello stesso. La sollevò, e sotto vi scorsi una scala a lumaca. Allora mio cugino, volgendosi alla dama, le disse: — Signora, ecco per dove si scende al luogo di cui v’ho parlato.» La dama a quelle parole si accostò e discese, ed il principe s’accinse a seguirla; ma voltosi prima a me: — Cugino,» mi disse, «vi sono infinitamente grato della briga che vi siete dato per me. — Mio caro cugino,» gridai io allora, «che cosa significa questo? — Ciò vi basti,» mi rispose; «potete ripigliare la strada d’onde siete venuto.»
Il giorno che sopraggiunse impedì a Scheherazade di proseguire. Il sultano si alzò, ansioso di sapere il disegno del principe e della dama, che pareva volessero seppellirsi vivi, ed attese impazientemente la notte successiva per esserne informato.
NOTTE XXXVIII
Schahriar essendosi esternato colla sultana che gli farebbe cosa grata a continuare il racconto del primo calendero, ripigliò essa la narrazione in questi termini:
— «Signora,» disse il calendero a Zobeide, «non potei ricavar altro dal principe mio cugino, e fui costretto ad accommiatarmi da lui. Nel tornare al pa-