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pomi, albicocche, pesche, prugne, limoni, cedri, melarance, e mirto, basilico, gigli, gelsomini ed altre specie di fiori e di piante odorifere; e disse al facchino di mettere il tutto nel paniere e seguirla. Passando davanti ad un macellaio, si fece pesare venticinque libbre grosse della più bella carne, che il facchino mise ancora, per ordine di lei, nel paniere. In un’altra bottega comprò capperi, serpentaria, cocomeretti, sassifraga ed altre erbe, tutto in composta nell’aceto; in un’altra, pistacchi, noci, nocciuole, pignuoli, mandorle ed altri somiglianti frutti; ad una quarta comprò ogni specie di paste d’amandorle. Il facchino, nel mettere tutte queste cose nel paniere, osservando che si empiva, disse alla dama: — Mia buona signora, bisognava avvertirmi che volevate fare tante provvisioni, poichè in tal caso avrei preso un cavallo o meglio un cammello per portarle. Ne avrò più del bisogno pel mio carico, se continuate ad acquistarne dell’altre.» Rise la dama di tale facezia, e ordinò di nuovo al facchino di seguirla.

«Entrò essa da un droghiere, ove si provvide di ogni specie d’acque odorose, chiodi di garofano, noci moscate, ginepro, un grosso pezzo d’ambra grigia, e molte altre spezie delle Indie, terminando così di riempire il cesto del facchino, al quale continuava a dire di seguirla. Camminarono allora amendue, finchè giunti ad un magnifico palazzo, la cui facciata era adorna di belle colonne, e che aveva la porta di avorio, quivi fermaronsi; e bussato leggermente....»

A tal passo, Seheherazade si avvide ch’era giorno, e cessò di parlare. — Davvero, mia cara sorella,» disse Dinarzade, «ecco un principio che m’ispira molta curiosità. Credo che il sultano non vorrà privarsi del piacere d’udirne la continuazione.» Infatti, Schahriar, lungi dall’ordinare la morte della sultana,