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grido per esternare l’eccesso della sua gioia. — Mio diletto signore,» sclamò essa, «m’ingannai io forse? È egli vero che vi ascolto, e che voi parlate? — Sciagurata,» rispose il sultano, «sei tu degna ch’io risponda a’ tuoi discorsi? — E perchè,» rispose la regina, «mi fate questo rimprovero? — Le grida,» diss’egli, «i pianti ed i gemiti di tuo marito, che ogni giorno tu tratti con tanta crudeltà e barbarie, m’impediscono di dormire. Da gran tempo sarei guarito, ed avrei ricuperato l’uso della favella, se tu lo avessi sciolto dall’incanto; ecco la cagione del mio silenzio di cui tanto ti lagni. — Ebbene,» disse la maga, «per tranquillarvi son pronta a fare tutto ciò che vorrete comandarmi; volete che gli renda la sua primiera forma? — Sì,» rispose il sultano, «ed affrettati a metterlo in libertà, ond’io non sia più incomodato dalle sue grida.

«Uscì subito la maga dal palazzo delle Lagrime, prese una tazza d’acqua, vi pronunziò sopra alcune parole, che la fecero bollire, quasi fosse stata al fuoco; ed andata nella sala in cui stava il giovane re suo marito, gli verso addosso quell’acqua dicendo: — Se il Creatore di tutte le cose ti ha formato qual presentemente sei, o s’egli è adirato verso di te, non cangiarti; ma se tu non sei in questo stato se non in virtù de’ miei sortilegi, ripiglia la tua forma naturale, e torna qual eri prima.» Appena ebb’essa finite tali parole, che il principe, trovatosi nel primitivo suo essere, si alzò liberamente con tutta l’allegrezza immaginabile, e ne rese grazie a Dio. La maga allora, tornando a parlare: — Va,» gli disse, « allontanati da questo castello, e non tornarci mai più, o te ne costerà la vita.» Il giovane re, cedendo alla necessità, si allontanò senza repliche, e ritirossi in un luogo remoto, ivi aspettando ansioso il successo del disegno, di cui il sultano sì felicemente aveva cominciata l’esecuzione.