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NOTTE XXVI


Ebbe appena Dinarzade veduto esser tempo di chiamare la Sultana, che la pregò di raccontarle che cosa fosse accaduto nel palazzo delle Lagrime; ed avendo Schahriar dimostrata la medesima curiosità, la sultana ripigliò di tal modo la storia del giovane principe incantato:

— Sire, quando la strega ebbe dato cento nervate al re suo marito, lo coprì colla grossa schiavina di pel di capra, e gli sovrappose la veste di broccato. Andò poscia al palazzo delle Lagrime, ed entratovi, rinnovò i pianti, le grida ed i soliti lamenti; avvicinatasi quindi al letto ove credeva stesse sempre il suo amante, sclamò: — Qual crudeltà di avere così turbato il contento di un’amante tanto tenera ed appassionata qual io sono! O tu che mi rimproveri d’essere troppo inumana quando ti fo provare gli effetti del mio risentimento, principe crudele la tua barbarie non supera forse quella della mia vendetta? Ah, traditore! attentando alla vita dell’oggetto che adoro, non m’hai rapito la mia? Aimè,» soggiunse volgendo la parola al sultano, credendo di parlare al Negro, «mio sole, mio tesoro, starai tu sempre in silenzio? Sei determinato di lasciarmi morire senza darmi la consolazione di ripetere ancora che m’ami? Anima mia, dimmi almeno una parola, te ne scongiuro.

«Allora il sultano, fingendo di uscire da profondo sonno, e contraffacendo il linguaggio dei Negri, rispose con grave accento alla regina: — Non v’ha forza e potere che in Dio solo onnipotente.» A tali parole, la maga, che non se le aspettava, mise un alto