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«Ebbi finito appena tali parole, che la regina, la quale stava seduta presso al Negro, si alzò come una furia, e: — Crudele,» mi disse, «tu solo sei la cagione del mio dolore. Non credere ch’io lo ignori, e non l’ho che troppo a lungo dissimulato. La barbara tua mano fu quella che pose l’oggetto dell’amor mio nel misero stato in cui si trova; ed hai la durezza di venir ad insultare un’amante alla disperazione? — Sì, fui io,» la interruppi furibondo di rabbia, «fui io che castigai questo mostro come meritava; te pure doveva trattare in pari guisa, e mi pento di non averlo fatto; omai è troppo tempo che tu abusi della mia bontà.» Ciò dicendo, sguainai la scimitarra, ed alzai il braccio per punirla; ma essa, guardandomi tranquillamente, con beffardo sorriso: — Modera,» disse, «la tua collera;» e nello stesso tempo profferì certe parole che non intesi, e poi soggiunse: — In virtù de’ miei incantesimi, ti comando di diventar sull’istante mezzo marmo e mezzo uomo;» e tosto, signore, diventai qual mi vedete, già morto tra i vivi, e vivo tra i morti...»

Scheherazade a tal passo, avendo notato ch’era giorno, cessò dal racconto.


NOTTE XXV


Sulla fine della notte essendosi Scheherazade svegliata alla voce della sorella, si preparò a darle la soddisfazione che chiedeva, terminando la storia del re delle Isole Nere. Cominciò adunque così: — Il re mezzo marmo e mezzo uomo continuò a raccontare la sua storia al sultano.

«Dopo,» diss’egli, «che la perfida maga, indegna di portare il nome di regina, m’ebbe così trasformato, e fattomi, con un altro incanto, passare in questa sala,