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«Si ritirò ella quindi nel suo appartamento, ove, abbandonandosi senza riserva al suo dolore, passò un anno intiero a piangere e lagnarsi. Trascorso tal tempo, chiesemi licenza di far fabbricare nel recinto del palazzo il luogo di sua sepoltura, in cui voleva, diceva ella, starsene fino al termine della vita; glielo permisi, ed ella fece erigere un superbo edificio, con una cupola che di qui si vede, e lo chiamò il palazzo delle Lagrime.

«Quando fu finito, vi fece trasportare il suo drudo, già da lei prima fatto trasferire ove aveva creduto meglio, la medesima notte ch’io l’ebbi ferito; ed avendolo fin allora preservato dalla morte a forza di bevande che gli aveva amministrato, continuò sempre a recargliene in persona, ogni giorno anche dopo che fu posto nel palazzo delle Lagrime.

«Nondimeno, con tutti i suoi incantesimi non riuscì a guarire l’infelice; non solo non poteva costui camminare, nè reggersi, ma aveva inoltre perduto l’uso della favella, nè dava altro segno di vita, fuorchè cogli sguardi. Sebbene la regina avesse l’unica consolazione di vederlo e dirgli quanto il folle suo amore poteva ispirarle di più tenero ed appassionato, non lasciava di fargli ogni giorno due lunghe visite. Io n’era informato, ma fingeva d’ignorarlo.

«Un giorno andai per curiosità al palazzo delle Lagrime, per vedere qual vi fosse l’occupazione di questa principessa; e da un sito, ove mi celai, la udii parlare in questi sensi all’amante: — Sono in estrema afflizione al vedervi nello stato in cui siete, e non sento meno vivamente di voi medesimo i cocenti mali che soffrite; ma, anima mia, io vi parlo sempre, e non mi rispondete mai. Fin quando vi terrete in silenzio? Ditemi una sola parola. Aimè! i più dolci momenti della mia vita quelli sono che passo qui a dividere i vostri dolori. Non posso vivere da voi lontana,