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NOTTE XXIV


In fatti Dinarzade, ansiosa di sentir terminare l’interessante storia del re delle Isole Nere, e di sapere in qual modo fosse stato cangiato in marmo, chiamò di buonissima ora la sultana, com’erasi proposto. — In breve l’udrai,» rispose Scheherazade, «col permesso del sultano.

«Trovai dunque la regina coricata al mio fianco,» continuò il re delle quattro Isole Nere; «non vi dirò s’ella dormisse o no; ma mi alzai senza far rumore, e passando nel mio gabinetto, finii di vestirmi. Andai quindi a presiedere il consiglio; al mio ritorno, mi si presentò innanzi la regina vestita a lutto, coi capegli sparsi, e mi disse: — Sire, vengo a supplicare vostra maestà di non maravigliarsi se mi vede in questo stato. Tre notizie affliggenti da me ricevute nel medesimo tempo, sono la giusta cagione del vivo dolore di cui non vedete che deboli segni. — E quali sono codeste notizie, signora?» le chiesi. — La morte della regina mia cara madre,» rispose la donna; «quella del re mio padre ucciso in battaglia, e l’altra d’un mio fratello caduto in un precipizio.» Non mi spiacque ch’ella prendesse tal pretesto per celare il vero motivo della sua afflizione, e giudicai che non mi sospettasse di averle ucciso l’amico. — Signora,» le dissi, «lungi dal biasimare il vostro dolore, v’accerto che vi prendo tutta la parte che debbo, e sarei sommamente sorpreso se foste insensibile alle perdite da voi fatte. Piangete pure; le vostre lagrime sono infallibili segni della bontà del vostro carattere. Spero nondimeno che il tempo e la ragione potranno recar sollievo al vostro cordoglio.