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Era giornata di grandi avventure. Due passi più in là, mossi vicino alla finestra della stanza già mia, e nella quale ora stava Gioja. — «Buon giorno, Melchiorre!» gli dissi passando. Alzò il capo, e balzando verso me, gridò: «Buon giorno, Silvio!» —

Ahi! non mi fu dato di fermarmi un istante. Voltai sotto il portone, salii una scaletta, e venni posto in una cameruccia pulita, al di sopra di quella di Gioja.

Fatto portare il letto, e lasciato solo dai secondini, mio primo affare fu di visitare i muri. V’erano alcune memorie scritte, quali con matita, quali con carbone, quali con punta incisiva. Trovai graziose due strofe francesi, che or m’incresce di non avere imparate a memoria. Erano firmate le Duc de Normandie. Presi a cantarle, adattandovi alla meglio l’aria della mia povera Maddalena: ma ecco una voce vicinissima che le ricanta con altr’aria. Com’ebbe finito, gli gridai: «Bravo!». Ed egli mi salutò gentilmente, chiedendomi s’io era Francese.

— No; sono Italiano, e mi chiamo Silvio Pellico.

— L’autore della Francesca da Rimini?

— Appunto. —