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diceva ateo, e che si scagliava contro Dio come se si dimenticasse di aver detto che non v’era Dio.
Dopo una colonna di tai bestemmie, ne seguiva una di ingiurie contro i vigliacchi, così li chiamava egli, che la sventura del carcere fa religiosi.
Mostrai quelle scelleratezze ad uno de’ secondini, e chiesi chi l’avesse scritte. — Ho piacere d’aver trovata quest’iscrizione, disse: ve ne son tante, ed ho sì poco tempo da cercare! —
E senz’altro, diessi con un coltello a grattare il muro per farla sparire.
— Perchè ciò? dissi.
— Perchè il povero diavolo che l’ha scritta, e fu condannato a morte per omicidio premeditato, se ne pentì, e mi fece pregare di questa carità.
— Dio gli perdoni! sclamai. Qual omicidio era il suo?
— Non potendo uccidere un suo nemico, si vendicò uccidendogli il figlio, il più bel fanciullo che si desse sulla terra. —
Inorridii. A tanto può giungere la ferocia? E siffatto mostro teneva il linguaggio insultante d’un uomo superiore a tutte le debolezze umane! Uccidere un innocente! un fanciullo!