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La guarigione si operò in quaranta giorni. Dopo i quali fummo ricondotti nel nostro carcere; questo per altro ci venne ampliato, facendo cioè un apertura al muro ed unendo la nostra antica tana a quella già abitata da Oroboni e poi da Villa.
Io trasportai il mio letto al luogo medesimo ov’era stato quello d’Oroboni, ov’egli era morto. Quest’identità di luogo m’era cara; pareami di essermi avvicinato a lui. Sognava spesso di lui, e pareami che il suo spirito veramente mi visitasse e mi rasserenasse con celesti consolazioni.
Lo spettacolo orribile di tanti tormenti sofferti da Maroncelli, e prima del taglio della gamba, e durante quell’operazione, e dappoi, mi fortificò l’animo. Iddio, che m’avea dato sufficiente salute nel tempo della malattia di quello, perchè le mie cure gli erano necessarie, me la tolse allorch’egli poté reggersi sulle grucce.
Ebbi parecchi tumori glandulari dolorosissimi. Ne risanai, ed a questi successero affanni di petto, già provati altre volte ma ora più soffocanti che mai, vertigini e dissenterie spasmodiche.
— È venuta la mia volta, diceva tra me. Sarò io meno paziente del mio compagno? —