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che prova, in soffrire senza urli questi strazi. Mi si proporrebbe mai?...
— Sì, signore, l’amputazione. Se non che il protomedico vedendo un corpo così emunto, esita a consigliarla. In tanta debolezza, si sentirà ella capace di sostenere l’amputazione? Vuol ella esporsi al pericolo?...
— Di morire? E non morrei in breve egualmente se non si mette termine a questo male?
— Dunque faremo subito relazione a Vienna d’ogni cosa, ed appena venuto il permesso di amputarla...
— Che? ci vuole un permesso?
— Sì, signore. —
Di lì a otto giorni, l’aspettato consentimento giunse.
Il malato fu portato in una stanza più grande; ei dimandò ch’io lo seguissi.
— Potrei spirare sotto l’operazione, diss’egli; ch’io mi trovi almeno fra le braccia dell’amico. —
La mia compagnia gli fu conceduta.
L’abate Wrba, nostro confessore (succeduto a Paulowich) venne ad amministrare i sacramenti all’infelice. Adempiuto questo atto di religione, aspettavamo i chirurgi, e non comparivano. Maroncelli si mise ancora a cantare un inno.