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certezza, ed io caddi quindi nel più angoscioso lutto.

Maroncelli n’era commosso non meno di me. Qualche giorno appresso ei diedesi a comporre un lamento poetico sulla sorella del prigioniero. Riuscì un bellissimo poemetto spirante melanconia e compianto. Quando l’ebbe terminato, me lo recitò. Oh come gli fui grato della sua gentilezza! Fra tanti milioni di versi che fino allora s’erano fatti per monache, probabilmente quelli erano i soli che si componessero in carcere, pel fratello della monaca, da un compagno di ferri. Qual concorso d’idee patetiche e religiose!

Così l’amicizia addolciva i miei dolori. Ah, da quel tempo non volse più giorno ch’io non m’aggirassi lungamente col pensiero in un convento di vergini; che fra quelle vergini io non ne considerassi con più tenera pietà una; ch’io non pregassi ardentemente il Cielo d’abbellirle la solitudine, e di non lasciare che la fantasia le dipingesse troppo orrendamente la mia prigione!