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Capo LXXVI.
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Oroboni, dopo aver molto dolorato nell’inverno e nella primavera, si trovò assai peggio la state. Sputò sangue, e andò in idropisia.
Lascio pensare qual fosse la nostra afflizione, quand’ei si stava estinguendo sì presso di noi, senza che potessimo rompere quella crudele parete che c’impediva di vederlo e di prestargli i nostri amichevoli servigi!
Schiller ci portava le sue nuove. L’infelice giovane patì atrocemente, ma l’animo suo non s’avvilì mai. Ebbe i soccorsi spirituali dal cappellano (il quale, per buona sorte, sapeva il francese). Morì nel suo dì onomastico, il 13 giugno 1823. Qualche ora prima di spirare, parlò dell’ottogenario suo padre, s’intenerì e pianse. Poi si riprese, dicendo: — Ma perché piango il più fortunato de’ miei cari, poich’egli è alla vigilia di raggiungermi all’eterna pace? —
Le sue ultime parole furono: — Io perdono di cuore a' miei nemici. —