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di far uso de’ nostri denari per comprar libri. Non fummo esauditi mai.

Il governatore continuava frattanto a permettere che leggessimo i libri nostri.

Avemmo anche, per bontà di lui, qualche miglioramento di cibo, ma ahi! non fu durevole. Egli avea consentito che invece d’esser provveduti dalla cucina del trattore delle carceri, il fossimo da quella del soprintendente. Qualche fondo di più era da lui stato assegnato a tal uso. La conferma di queste disposizioni non venne; ma intanto che durò il beneficio, io ne provai molto giovamento. Anche Maroncelli racquistò un po’ di vigore. Per l’infelice Oroboni era troppo tardi!

Quest’ultimo era stato accompagnato, prima coll’avvocato Solera, indi col sacerdote D. Fortini.

Quando fummo appajati in tutte le carceri, il divieto di parlare alle finestre ci fu rinnovato, con minaccia a chi contravvenisse, d’essere riposto in solitudine. Violammo a dir vero qualche volta il divieto, per salutarci, ma lunghe conversazioni più non si fecero.

L’indole di Maroncelli e la mia armonizzavano perfettamente. Il coraggio dell’uno sosteneva il