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La ripetei infatti quel giorno. Il soprintendente disse parimente ch’io dovea sperare, e soggiunse essere verisimile, che non solo Maroncelli potesse vedermi, ma che mi fosse dato per infermiere, ed in appresso per indivisibile compagno.

Siccome, quanti eravamo prigionieri di stato, avevamo più o meno tutti la salute rovinata, il governatore avea chiesto a Vienna che potessimo esser messi tutti a due a due, affinchè uno servisse d’ajuto all’altro.

Io aveva anche dimandato la grazia di scrivere un ultimo addio alla mia famiglia.

Verso la fine della seconda settimana la mia malattia ebbe una crisi, ed il pericolo si dileguò.

Cominciava ad alzarmi, quando un mattino s’apre la porta, e vedo entrar festosi il soprintendente, Schiller ed il medico. Il primo corre a me, e mi dice: — Abbiamo il permesso di darle per compagno Maroncelli, e di lasciarle scrivere una lettera a' parenti.

La gioia mi tolse il respiro, ed il povero soprintendente, che, per impeto di buon cuore, aveva mancato di prudenza, mi credette perduto.

Quando riacquistai i sensi, e mi sovvenne dell’annuncio udito, pregai che non mi si ritardasse