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interrotto, e capii tutto. Non v’ha termini per dire l’emozione che provai.

Gli risposi, e continuammo il dialogo, circa un quarto d’ora. Finalmente si mutarono le sentinelle sul terrapieno, e quelle che vennero non furono compiacenti. Ben ci disponevamo a ripigliare il canto, ma furiose grida s’alzarono a maledirci, e convenne rispettarle.

Io mi rappresentava Maroncelli giacente da sì lungo tempo in quel carcere tanto peggiore del mio; m’immaginava la tristezza che ivi dovea sovente opprimerlo ed il danno che la sua salute ne patirebbe, e profonda angoscia m’opprimeva.

Potei alfine piangere, ma il pianto non mi sollevò. Mi prese un grave dolor di capo, con febbre violenta. Non mi reggeva in piedi, mi buttai sul pagliericcio. La convulsione crebbe; il petto doleami con orribile spasimo. Credetti quella notte morire.

Il dì seguente, la febbre era cessata, e del petto stava meglio, ma pareami d’aver fuoco nel cervello, e appena potea muovere il capo, senza che vi si destassero atroci dolori.

Dissi ad Oroboni il mio stato. Egli pure si sentiva più male del solito.