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Capo LXXII.
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Una sera avevamo sentinelle benignissime, e quindi Oroboni ed io non ci davamo la pena di comprimere la voce. Maroncelli nel suo sotterraneo, arrampicatosi alla finestra, ci udì e distinse la voce mia. Non poté frenarsi; mi salutò cantando. Mi chiedea com’io stava, e m’esprimea colle più tenere parole il suo rincrescimento di non avere ancora ottenuto che fossimo messi insieme. Questa grazia, l’aveva io pure dimandata, ma né il soprintendente di Spielberg, né il governatore di Brünn, non aveano l’arbitrio di concederla. La nostra vicendevole brama era stata significata all’Imperatore, e niuna risposta erane fin’allora venuta.
Oltre quella volta che ci salutammo cantando ne’ sotterranei, io aveva inteso parecchie volte dal piano superiore le sue cantilene, ma senza capire le parole, ed appena pochi istanti, perché nol lasciavano proseguire.
Ora alzò molto più la voce, non fu così presto