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dicevano sottovoce. E si fermavano a guardarmi; e più volte li intesi dire in tedesco, credendo ch’io non li capissi: — Quel povero signore non invecchierà; ha la morte sul volto. —
Io infatti, dopo essere dapprima migliorato di salute, languiva per la scarsezza del nutrimento, e nuove febbri sovente m’assalivano. Stentava a strascinare la mia catena fino al luogo del passeggio, e là mi gettava sull’erba, e vi stava ordinariamente finchè fosse finita la mia ora.
Stavano in piedi, o sedeano vicino a me le guardie, e ciarlavamo. Una d’esse, per nome Kral, era un boemo, che, sebbene di famiglia contadina e povera, avea ricevuto una certa educazione, e se l’era perfezionata quanto più avea potuto, riflettendo con forte discernimento su le cose del mondo e leggendo tutti i libri che gli capitavano alle mani. Avea cognizione di Klopfstock, di Wieland, di Goethe, di Schiller e di molti altri buoni scrittori tedeschi. Ne sapea un’infinità di brani a memoria, e li dicea con intelligenza e con sentimento. L’altra guardia era un polacco, per nome Kubitzky, ignorante, ma rispettoso e cordiale. La loro compagnia mi era assai cara.