Pagina:Le mie prigioni.djvu/218


( 206 )

verso me e tendermi amicamente la mano, il suo aspetto paterno m'ispirò fiducia: lasciai andare la catena, e presi quella mano fra le mie.

— Oh come arde! diss’egli al soprintendente. Si potesse almeno dargli un pagliericcio! —

Pronunciò queste parole con espressione di sì vero, affettuoso cordoglio, che ne fui intenerito.

Il soprintendente mi tastò il polso, mi compianse: era uomo di gentili maniere, ma non osava prendersi alcun arbitrio.

— Qui tutto è rigore anche per me, diss’egli. Se non eseguisco alla lettera ciò ch’è prescritto, rischio d’essere sbalzato dal mio impiego. —

Schiller allungava le labbra, ed avrei scommesso, ch’ei pensava tra sé: — S’io fossi soprintendente, non porterei la paura fino a quel grado; né il prendersi un arbitrio così giustificato dal bisogno, e così innocuo alla monarchia, potrebbe mai riputarsi gran fallo.

Quando fui solo, il mio cuore, da qualche tempo incapace di profondo sentimento religioso, s’intenerì e pregò. Era una preghiera di benedizioni sul capo di Schiller; ed io soggiungeva a Dio: — Fa ch’io discerna pure negli altri qualche dote che loro m’affezioni; io accetto