Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
( 199 ) |
luto nasconderlo, a fine di non parer debole, e per timore ch’io ne fossi indegno; ma nello stesso tempo supponendo che forse io era più infelice che iniquo, avrebbe desiderato di palesarmelo.
Nojato della sua presenza, e più della sua aria da padrone, stimai opportuno d’umiliarlo, dicendogli imperiosamente, quasi a servitore:
— Datemi da bere. —
Ei mi guardò, e parea significare: — Arrogante! qui bisogna divezzarsi dal comandare.
Ma tacque, chinò la sua lunga schiena, prese in terra la brocca, e me la porse. M’avvidi pigliandola, ch’ei tremava, e attribuendo quel tremito alla sua vecchiezza, un misto di pietà e di reverenza temperò il mio orgoglio.
— Quanti anni avete? gli dissi con voce amorevole.
— Settantaquattro, signore: ho già veduto molte sventure e mie ed altrui. —
Questo cenno sulle sventure sue ed altrui fu accompagnato da nuovo tremito, nell’atto ch’ei ripigliava la brocca; e dubitai fosse effetto, non della sola età, ma d’un certo nobile perturbamento. Siffatto dubbio cancellò dall’anima mia l’odio che il suo primo aspetto m’aveva impresso.