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luto nasconderlo, a fine di non parer debole, e per timore ch’io ne fossi indegno; ma nello stesso tempo supponendo che forse io era più infelice che iniquo, avrebbe desiderato di palesarmelo.

Nojato della sua presenza, e più della sua aria da padrone, stimai opportuno d’umiliarlo, dicendogli imperiosamente, quasi a servitore:

— Datemi da bere. —

Ei mi guardò, e parea significare: — Arrogante! qui bisogna divezzarsi dal comandare.

Ma tacque, chinò la sua lunga schiena, prese in terra la brocca, e me la porse. M’avvidi pigliandola, ch’ei tremava, e attribuendo quel tremito alla sua vecchiezza, un misto di pietà e di reverenza temperò il mio orgoglio.

— Quanti anni avete? gli dissi con voce amorevole.

— Settantaquattro, signore: ho già veduto molte sventure e mie ed altrui. —

Questo cenno sulle sventure sue ed altrui fu accompagnato da nuovo tremito, nell’atto ch’ei ripigliava la brocca; e dubitai fosse effetto, non della sola età, ma d’un certo nobile perturbamento. Siffatto dubbio cancellò dall’anima mia l’odio che il suo primo aspetto m’aveva impresso.