Pagina:Le mie prigioni.djvu/176


( 164 )

ricaduto ne’ passati delirii; ma ciò ch’io vedeva non era un’illusione. Quella luce veniva dal finestruolo a tramontana, sotto il quale io giaceva.

Balzo a terra, prendo il tavolino, lo metto sul letto, vi sovrappongo una sedia, ascendo; — e veggo uno de’ più belli e terribili spettacoli di foco, ch’io potessi immaginarmi.

Era un grande incendio, a un tiro di schioppo dalle nostre carceri. Prese alla casa ov’erano i forni pubblici, e la consumò.

La notte era oscurissima, e tanto più spiccavano que’ vasti globi di fiamme e di fumo, agitati com’erano da furioso vento. Volavano scintille da tutte le parti, e sembrava che il cielo le piovesse. La vicina laguna rifletteva l’incendio. Una moltitudine di gondole andava e veniva. Io m’immaginava lo spavento ed il pericolo di quelli che abitavano nella casa incendiata e nelle vicine, e li compiangeva. Udiva lontane voci d’uomini e donne che si chiamavano: — Tognina! Momolo! Beppo! Zanze! — Anche il nome di Zanze mi sonò all’orecchio! Ve ne sono migliaia a Venezia; eppure io temeva che potesse essere quell’una, la cui memoria m’era sì soave.! Fosse mai là quella sciagurata? e cir-