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un miglio; poi tornò indietro soletto. Io mi voltava a guardarlo, e piangeva, e baciava un anello che la madre m’avea dato, e mai non mi sentii così angosciato di allontanarmi da’ parenti. Non credulo a’ presentimenti, io stupiva di non poter vincere il mio dolore, ed era sforzato a dire con ispavento: «D’onde questa mia straordinaria inquietudine?». Pareami pur di prevedere qualche grande sventura.

Ora, nel carcere, mi risovvenivano quello spavento, quell’angoscia; mi risovvenivano tutte le parole udite, tre mesi innanzi, da’ genitori. Quel lamento della madre: «Ah! Il nostro Silvio non è venuto a Torino per veder noi!» mi ripiombava sul cuore. Io mi rimproverava di non essermi mostrato loro mille volte più tenero. ― Li amo cotanto, e ciò dissi loro così debolmente! Non dovea mai più vederli, e mi saziai così poco de’ loro cari volti! e fui così avaro delle testimonianze dell’amor mio! ― Questi pensieri mi straziavano l’anima.

Chiusi la finestra, passeggiai un’ora, credendo di non aver requie tutta la notte. Mi posi a letto, e la stanchezza m’addormentò.