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Capo XXXIX.

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Passeggiai tutta mattina fremendo. — Che razza d’uomo è questo Giuliano? Perchè chiamare la mia lettera uno scherzo? Perchè ridere e giocare alla palla con essa? Perchè non rispondermi pure una riga? Tutti gl’increduli son così! Sentendo la debolezza delle loro opinioni, se alcuno s’accinge a confutarle, non ascoltano, ridono, ostentano una superiorità d’ingegno, la quale non ha più bisogno d’esaminar nulla. Sciagurati! E quando mai vi fu filosofia senza esame, senza serietà? Se è vero che Democrito ridesse sempre, egli era un buffone! — Ma ben mi sta: perchè imprendere questa corrispondenza? Ch’io mi facessi illusione un momento, era perdonabile. Ma quando vidi che colui insolentiva, non fui io uno stolto di scrivergli ancora?

Era risoluto di non più scrivergli. A pranzo, Tremerello prese il mio vino, se lo versò in un fiasco, e mettendoselo in saccoccia, — Oh, mi accorgo, disse, che ho qui della carta da darle. — E me la porse.