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denza di lei, che non prevedeva di potermi essere cagione di colpevole ebbrezza; stante la poca sicurezza della mia virtù, non v’ha dubbio che il soffocante calore di quel forno e le crudeli zanzare erano salutar cosa.

Questo pensiero mi riconciliava alquanto con que’ flagelli. Ed allora io mi domandava:

— Vorresti tu esserne libero, e passare in una buona stanza consolata da qualche fresco respiro, e non veder più quell’affettuosa creatura? —

Debbo dire il vero? Io non avea coraggio di rispondere al quesito.

Quando si vuole un po’ di bene a qualcheduno, è indicibile il piacere che fanno le cose in apparenza più nulle. Spesso una parola della Zanze, un sorriso, una lagrima, una grazia del suo dialetto veneziano, l’agilità del suo braccio in parare col fazzoletto o col ventaglio le zanzare a sè ed a me, m’infondeano nell’animo una contentezza fanciullesca che durava tutto il giorno. Principalmente m’era dolce il vedere che le sue afflizioni scemassero parlandomi, che la mia pietà le fosse cara, che i miei consigli la persuadessero, e che il suo cuore s’infiammasse allorchè ragionavamo di virtu e di Dio.