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Allora io pativa la fame, e sebbene il custode avesse in deposito denari miei, non gli chiedea in tutto il giorno da mangiare, parte perché non sospettasse ch’io avea dato via il pranzo, parte perché il secondino non s’accorgesse ch’io aveva mentito assicurandolo della mia inappetenza. A sera mi sosteneva con un potente caffè, e supplicava che lo facesse la siora Zanze1. Questa era la figliuola del custode, la quale, se potea farlo di nascosto della mamma, lo faceva straordinariamente carico; tale, che, stante la votezza dello stomaco, mi cagionava una specie di convulsione non dolorosa, che teneami desto tutta notte.
In questo stato di mite ebbrezza io sentiva raddoppiarmisi le forze intellettuali, e poetava e filosofava e pregava fino all’alba con meraviglioso piacere. Una repentina spossatezza m’assaliva quindi: allora io mi gettava sul letto, e malgrado le zanzare, a cui riusciva, bench’io m’inviluppassi, di venirmi a suggere il sangue, io dormiva profondamente un’ora o due.
Siffatte notti, agitate da forte caffè preso a
- ↑ Angiola