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Capo XXVIII.

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Quel quinternetto aveva anche alcune delle mie ore a lui consacrate, e talvolta un intero giorno od un’intera notte. Ivi scriveva io di cose letterarie. Composi allora l’Ester d’Engaddi e l’Iginia d’Asti, e le cantiche intitolate: Tancreda, Rosilde, Eligi e Valafrido, Adello, oltre parecchi scheletri di tragedie e di altre produzioni, e fra altri quello d’un poema sulla Lega lombarda, e d’un altro su Cristoforo Colombo.

Siccome l’ottenere che mi si rinnovasse il quinternetto, quand’era finito, non era sempre cosa facile e pronta, io faceva il primo getto d’ogni componimento sul tavolino o su cartaccia in cui mi facea portare fichi secchi o altri frutti. Talvolta dando il mio pranzo ad uno dei secondini, e facendogli credere ch’io non aveva punto appetito, io l’induceva a regalarmi qualche foglio di carta. Ciò avveniva solo in certi casi, che il tavolino era già ingombro di scrittura, e non poteva ancora decidermi a raschiarla.