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Non esagero dicendo che le ore così impiegate m’erano talvolta deliziose, malgrado la difficoltà di respiro ch’io pativa per l’enorme caldo e le morsicature dolorosissime delle zanzare. Per diminuire la moltiplicità di queste ultime, io era obbligato, ad onta del caldo, d’involgermi bene il capo e le gambe, e di scrivere, non solo co’ guanti, ma fasciato i polsi, affinchè le zanzare non entrassero nelle maniche.

Quelle mie meditazioni avevano un carattere piuttosto biografico. Io faceva la storia di tutto il bene ed il male che in me s’erano formati dall’infanzia in poi, discutendo meco stesso, ingegnandomi di sciorre ogni dubbio, ordinando quanto meglio io sapea tutte le mie cognizioni, tutte le mie idee sopra ogni cosa.

Quando tutta la superficie adoprabile del tavolino era piena di scrittura, io leggeva e rileggeva, meditava sul già meditato, ed alfine mi risolveva (sovente con rincrescimento) a raschiar via ogni cosa col vetro, per riavere atta quella superficie a ricevere nuovamente i miei pensieri.

Continuava quindi la mia storia, sempre rallentata da digressioni d’ogni specie, da analisi