Pagina:Le industrie femminili.djvu/87


venezia 75

e miniature, si facevano di trina; di trine si ornavano altari e baldacchini; di trine spumeggiavano lenzuola e tornaletti, cortine e tovaglie per la toeletta, rocchetti (accappatoi) e vesti di ogni specie; di trine si guernivano prima i berretti all’orientale, e poi cuffie; le lunghe arlotte (maniche aperte) cadenti sino a terra, e i zendaletti, le baute, i fazzoletti, persino le scarpine dalle fibbie di diamanti, e quegli altissimi calcagnini o zoccoli (inventati da prima per evitare il fango delle vie, divenuti poi gradito pretesto al lusso dei lunghissimi strascichi) per cui le belle Veneziane dei tempi di Vettor Carpaccio sembravano camminare sui trampoli. Sulle trine, abbiamo tutta un’antica, curiosa letteratura: “L’onesto esempio del vertuoso desiderio che hanno le donne di nobil ingegno circa lo imparare i punti tagliati a forami; per Mathio Pagani in Frezzeria, Venezia, 1570”. — “Il specchio di pensieri delle belle e virtudiose done dove si vede varie sorti di punto; per Mathio Pagani, Venezia, 1548” — ed altre opere del Vecellio, dello Zoppino, di Isabella Cataneo Parasole e via dicendo, citate dal Cicogna, dal Molmenti, ecc., ecc.

Il paziente lavoro dei merletti, già particolarmente protetto e favorito dalle Dogaresse Morosina Morosini Grimani e Giovanna Dandolo Malipiero, incominciò a decadere quando le donne, cittadine e patrizie, abbandonarono la casa, e persino le monache i conventi, per i ritrovi mondani; quando le scarpette preziose (di cui un solo paio costava tal volta sino a diecimila lire venete) sostituirono i calcagnetti alti mezzo braccio, rendendo assai più libero e comodo alle donne l’andare attorno. “Pur tropo, comodo, pur tropo!” esclamava un Senatore prudente alla presenza del Doge Domenico Contarini. Riguardo ai modi in cui il commercio dei merletti si esercitava nell’epoca