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fanzie si fusero insieme, quando gli stessi giuochi ci unirono, quando le stesse lacrime ci battezzarono del medesimo crisma?

Tu non sai, tu non sai!... Ma io voglio dirtelo, — oggi, che sto per morire — quanto squallore abbia preseduto alla mia infanzia, quanti pianti, quanti orrori mi si pararono dinanzi, primi, non appena i miei occhi si chiusero sull’infinito, per riaprirsi sullo spettacolo della vita. Spettacolo che pur dovrebbe essere così maraviglioso — che è, anzi, tanto maraviglioso — poi che ai bimbi, ignari ancora del domani, l’oggi si mostra ridente a traverso i bei visi lieti ed amanti dei genitori, negli sguardi d’amore, nelle parole che sono tutta una musica celeste, perchè vengono da labbra che sanno il sapore della felicità.

Io non ho avuto, no, cotesto spettacolo. Sulla mia culla una povera donna ha stemperato la sua giovinezza in lacrime senza fine, ha spremuto dalla sua anima, come da un tralcio d’uva matura, tutto il dolore di cui può essere piena l’anima di umana creatura. Attorno a me — ed i miei occhi, che