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— troppo giudiziosa, quasi calcolatrice, per lasciarsi andare alla deriva, come un barchetto senza piloto. Malata sì, lo era, certo. Ma ella guarirebbe e tornerebbe a ridere di quel suo riso, mordente e squillante, come un tintinnabulo saturnale.
Il treno correva, per l’estremo lembo dell’Umbria, ed io, quasi, sorrideva meco stessa dei miei precipitati terrori. Guardai fuori dal finestrino: sotto la stretta del sole di agosto, la campagna pareva ansimare: un fiato caldo si levava dalla terra e, nel fiato, rapidissimo il diretto correva verso Roma, l’eterna.
Rapidissimo correva il treno — non già fulmineo, come il mio pensiero ed il mio desiderio. Perchè, in onta ad ogni ragionamento, un’occulta inquietudine mi opprimeva il cuore.
In verità, che ne sapeva io?... Io conosceva Viviana da tanti anni: eravamo state in convento insieme ed il caso ci aveva unite nella stessa cameretta: lei grande, mammina — io piccola, bimba. Così era nata la nostra prima intimità,